lunedì 7 gennaio 2013

OSSESSIONATI DALLA MORTE




Noialtri vittime e persecutori facciamo parte di una stessa umanità, colleghi nello stesso sforzo di dimostrare l’esistenza di ideologie, sensazioni, atti eroici, religioni, ossessioni. E il resto dell’umanità, la grande maggioranza, in cosa è impegnata? 

La costruzione della realtà coloniale avvenuta nel Nuovo Mondo è stata e rimarrà un tema di grande interesse e molto studiato: quel Nuovo Mondo dove gli indiani e gli africani divennero soggetti per un numero inizialmente molto piccolo di cristiani. Come poté questa egemonia realizzarsi così rapidamente? Qualunque risposta possiamo dare, non sarebbe saggio ignorare o sottovalutare il ruolo svolto dal terrore. Con questo voglio dire che dobbiamo pensare attraverso il terrore, che oltre ad uno stato fisiologico è anche un fatto sociale e una costruzione culturale, le cui dimensioni barocche gli permettono di essere usato come mediatore par excellence nell’egemonia coloniale. Lo spazio della morte è uno degli spazi fondamentali in cui indiani, africani e bianchi dettero vita al Nuovo Mondo.
Occorre dare un senso alla morte?
 L’idea di morte sfugge ad una comprensione completa tramite la ragione; la morte come concetto astratto infatti non esiste, ciò che ha concretezza è solo la morte dell’individuo, o meglio, è solo l’individuo che muore. A differenza però di altri fenomeni della vita umana, noi non possiamo avere esperienza diretta della morte, pur vivendola, in quanto, come diceva Epicuro, “quando siamo noi non c’è la morte; quando c’è la morte, non siamo più noi”.
 L'argomento morte non è sfuggito anche nel passato a vari tentativi di spiegazione, di comprensione, vuoi attraverso la mitologia, la fede, vuoi razionalmente, ma è rimasto per lo più un non-senso, un elemento di scandalo per la ragione che tutto tende a conoscere, per poi dominare  e dirigere.   
  L'uomo, essere dotato di ragione, tende per una sua intima esigenza a volersi spiegare ogni fenomeno, in quanto la conoscenza produce sicurezza; la non conoscenza invece genera disagio, apprensione e lascia aperto il campo alle supposizioni, ai timori, che possono condizionare, a volte anche in modo pesante, la vita.
  In quanto la morte sfugge completamente all'ambito esperienziale dei singoli individui, è possibile parlare di essa solo tramite l'osservazione che di tale fenomeno si fa sugli altri. Inoltre, ciò che è possibile rilevare non è mai la morte in sé, ma il fenomeno del morire, che come processo evolutivo occupa un lasso temporale più o meno vasto, ma comunque percepibile dall'esterno.
   Sul senso della morte dunque, nessuno potrà dire qualcosa di vero o di falso, se verrà assunto come criterio di attendibilità la verificabilità.
   L'aspetto biologico, invece, può essere trattato con maggiore precisione e rigore; scientificamente la morte può essere definita come "perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale" e deve essere accertata con criteri che garantiscano la certezza diagnostica.
   Tutto questo, però, non contribuisce molto a rispondere a quelle domande filosofico-esistenziali che fanno dell'argomento morte uno dei temi più insidiosi e spesso angoscianti della riflessione umana.

Questo spazio della morte ha un’antica e ricca cultura. L’immaginazione sociale lo ha riempito delle proprie immagini metamorfiche del male e degli inferi: nella tradizione occidentale, lo troviamo in Omero, in Virgilio, nella Bibbia, in Dante, in Bosch, nell’Inquisizione, in Baudelaire, in Rimbaud, in Cuore di tenebra; nella tradizione dell’Amazzonia occidentale, nelle zone di apparizioni, di comunicazione tra terrestri ed esseri soprannaturali, di putrefazione, morte, rinascita e genesi, forse nei fiumi e nella terra del latte materno, eternamente immerso nella tenue luce verde delle foglie di coca (Reichel-Dolmatoff 1971). Con la conquista e la colonizzazione degli europei, questi spazi della morte si mescolano, diventando una fonte comune di significanti chiave che legano la cultura dei conquistatori con quella dei conquistati. Lo spazio della morte è fondamentalmente uno spazio di trasformazione: attraverso l’esperienza della morte, la vita; attraverso la paura, la perdita di sé e la conformità ad una nuova realtà; oppure anche attraverso il male, il bene. Perso nella selva oscura, camminando poi attraverso l’Inferno con la sua guida, Dante raggiunge il Paradiso solo dopo essersi arrampicato sulla schiena di Satana. Timerman può farci da guida, proprio come gli sciamani del Putumayo che conosco fanno da guida a chi si è perso nello spazio della morte.Potremmo chiederci: in quale posto dei cinque continenti del mondo chi vaga nello spazio della morte troverà se stesso? E per estensione: dove un’intera società troverà se stessa? Il vecchio teme il male della stregoneria, la battaglia per la sua anima. Tra lui, lo stregone e lo sciamano guaritore, si cerca e si lotta per i cinque continenti. Ma in questa storia c’e anche del riso, che punteggia la paura del mistero, facendoci tornare a mente il commento di Walter Benjamin sul modo in cui il romanticismo può travisare pericolosamente la natura dell’intossicazione.

“Ogni indagine seria delle doti e dei fenomeni occulti, surrealistici e allucinatori – egli scrive – presuppone un intreccio dialettico di cui una mentalità romantica non verrà mai a capo. E infatti non è molto utile sottolineare con tono patetico o fanatico gli aspetti enigmatici dell’enigmatico; noi riusciamo invece a penetrare il mistero solo nella misura in cui lo ritroviamo nella vita quotidiana, grazie a un’ottica dialettica che riconosce il quotidiano come impenetrabile, l’impenetrabile come quotidiano (Benjamin 1967, p. 23).
   Mentre l’uomo tenta di individuare il senso della morte, emerge con forza la rivendicazione del diritto ad una morte naturale, dove naturale non significa semplicemente biologica, fisiologica, il decesso per esaurimento delle forze vitali dovuto alla vecchiaia. Il significato più pieno del termine è possibile ravvisarlo nel concetto di ‘dignità umana’; infatti non è detto che una morte per vecchiaia riesca ad essere automaticamente anche dignitosa.
   La dignità più alta della morte sta forse nel ‘viverla’, interpretandola come coronamento, vertice di tutta la vita, al di là dell’età biologica dell’individuo; per far questo però occorre vivere ‘in confidenza’ con la morte per tutta la vita, cercando di trovare il senso dell’esistenza senza prescindere dalla morte e il senso di quest’ultima nella vita stessa. Che significato avrebbe vivere se poi tutto deve essere annientato dalla morte? E che senso avrebbe tentare di morire dignitosamente, da uomo, se la morte è un’assurda realtà che non ha niente a che vedere con l’esistenza umana?
   Ecco ritornare la domanda che molti filosofi si sono posti: la morte è fuori o dentro la vita? La risposta non è volta a placare una mera curiosità speculativa, ma ha delle importanti ripercussioni esistenziali. Infatti, si tenta di capire se il valore della vita è condizionato dalla morte o se è la morte che acquista valore tramite la vita.
   A quest’ultima posizione aderisce Maffettone, il quale afferma che, diversamente da quanto tradizionalmente si sostiene, “la morte può avere senso attraverso la vita concepita come realizzazione di valori”;
   Relativamente a queste problematiche non possiamo non tener conto della teoria formulata da Heidegger, il quale si contrappone nettamente alla visione della morte naturale, morte come fenomeno biologico, destino generale, dato oggettivo fuori dall’uomo, del quale non resta altro che prenderne coscienza. Egli ritiene che quest'evento della vita umana sia un fenomeno da comprendersi esistenzialmente, in quanto ha un valore soggettivo, ossia proprio del soggetto, ed è l’essenza stessa, il significato ultimo dell’esistenza, definita infatti come un ‘essere per la morte’.    L’individuo può comprendere se stesso solo a partire dalla morte, divenendo consapevole della propria finitezza, in quanto essa determina ogni sua azione; tutto nell’uomo è orientato verso la morte, il soggetto umano è appunto un ‘essere per la morte’. Essa è una possibilità alla quale l’uomo non può sfuggire e dopo di cui non ci sono più possibilità; Heidegger la definisce “la possibilità della pura e semplice impossibilità dell’esserci”!!
Ora il soggetto, per vivere autenticamente la propria esistenza, deve assumere con autenticità questa possibilità, deve interiorizzarla, non nel senso di pensare semplicemente di dover morire, ma prendendo coscienza del fatto che tutte le ‘cose’ della vita non sono definitive, sono solo possibilità; quindi egli non deve attaccarsi ad esse, il che non vuol dire rinunciarvi, ma solo coglierle nella loro vera natura, egli deve sempre rimanere aperto all’unica  possibilità che è definitiva, la morte appunto.
   La morte, comunque la si interpreti, resta per l’uomo un problema, una dura realtà con cui non tutti trovano la forza e il coraggio di confrontarsi apertamente.
 LA BELLA MORTE
Ho cercato di capire, nei miei viaggi tra Messico e Madagascar, come viene vissuta la morte, perchè è così importante per alcune culture, è quasi una Ossessione per ogni guppo umano, percipita in modo diverso.
Una cosa accomuna le due culture distanti, due continenti diversi eppure entrambe le culture Celebrano la Morte, la abbelliscono, ci danzano, la venerano. La bella Morte.
La Bella Morte è in Messico la Santissima Muerte, è una signora bella, affascinante( così mi fu descritta), in apparenza chi penserebbe che la morte fosse bella, vedevo immagini di uno scheletro con capelli lunghi e mantello bianco, vedevo i diversi santuari dedicati alla Bella Signora Morte decorati con fiori, fotografie di donne bellissime, e doni di ogni genere.
La Santa Morte, in breve, si presenta come uno scheletro abbigliato come una Madonna velata, in una mano un globo o una falce, nell’altra una bilancia, talvolta alle sue spalle una scala. Ad essere precisi, fatta eccezione per la festa di Ognissanti in cui viene vestita da sposa, non è vestita come una Madonna, è vestita esattamente come la Virgen de Guadalupe.  Di fronte alla cattedrale dedicata a quest’ultima è già possibile acquistare oggetti che si riferiscono al culto della Santa Muerte. Al suo altare vengono offerti fiori, candele, ma anche ventagli, sigari, alcolici (analogamente a quanto accade in Argentina con il culto di Gaucho Gil). Alla Morte si chiede protezione nel crimine, così come nel pericolo (tanto che anche alcuni militari e poliziotti messicani la venerano), le prostitute ne chiedono la protezione, i narcos le si votano nel contrabbandare ‘la fina’, così come prima d’eliminare un nemico, alla Santa Morte viene chiesta la benedizione del denaro, del taxi, dei coltelli, delle pistole. Ugualmente viene venerata come una Madonna da persone d’ogni ceto, non necessariamente malavitose. Le si rivolgono, nella chiesa di Tepito novene e rosari, intervallati da brevi formule specifiche (ad esempio: “Muerte querida de mi corazón, no me desampares de tu protección”) e nella notte della prima domenica del mese ha luogo un’affollatissima benedizione collettiva. Anche a Tijuana la Morte viene pregata pubblicamente in una apposita chiesa. David Romo Guillém si spinge a dire che i luoghi di preghiera sono 40 solo a Città del Messico e 400 nell’intera nazione. Analogamente alle novene mariane anche alla Santa Morte é riservata una lunga serie di epiteti: la Niña Blanca, la Flaqua, la Flaquita, la Novia, Divina y Poderosa Santisima Muerte, la Mujer de la Guadaña, Soberana Señora, Poderosa Señora, Nuestra Señora.  Nella devozione privata, la Santa Morte viene pregata secondo i canoni della Hechiceria, attraverso una ritualità magica che distingue poteri della Santa Morte a seconda del colore del suo mantello. Le più venerate sono la Morte Verde, pregata per protegger le persone in carcere “per giusto o ingiusto motivo” e  per uscire dalla tossicodipendenza, la Morte Rossa cui si chiede vigore sessuale e soddifazione in amore, la Morte Gialla preposta al denaro e al commercio. La Santa Morte vestita di Bianco é la più ecumenica, quella che allude al rinnovamento e alla rinascita spirituale, mentre quella Nera viene invocata per commettere fatti di sangue o esserne protetti.

“Alla morte si possono chiedere cose che non si possono chiedere alla Madonna”.

Si dice che i primi fedeli fossero carcerati e che come primo patto con la Santa Morte chiedessero in una forma ambigua di voto la possibilità di una morte violenta per se stessi. Questa era la prima richiesta a cui era possibile farne in seguito altre. “Per chiedere un favore alla Morte ci vogliono nervi saldi. Non si può tornare indietro”. L’accusa più grave che viene rivolta ai fedeli della Morte è che i favori della Santa verrebbero pagati con il decesso di un caro. In tutti i siti e le interviste lette questa è di gran lunga la leggenda da cui i fedeli della Morte vogliono prendere le distanze. Al contrario, viene detto, la Morte è solo una consolatrice benevola, benchè estremamente potente, e la brava gente d’ogni ceto che la prega e ne riceve benefici è lì a testimoniarlo. Quanto alle origini legate alla religiosità degli spagnoli viene citata la “Adoración del Hueso”, la Adorazione delle ossa, una ceremonia in cui, in occasione del primo novembre le ossa dei santi e dei martiri venivano esposte per la venerazione popolare. Di questo vengono citate le testimonianze pittoriche di Taxco, Zacatecas e Toluca. Analogamente si ricorda che una statua della Buona Morte o della Santa Morte apriva le processioni del Venerdì Santo.

Celebrare il culto della morte significa contemplare l’origine della vita. Ecco la verità dalla quale partire per capire "la morte" celebrata.

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA SANTA MUERTE
http://www.instoria.it/home/culto_messico_santa_muerte.htm